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Il principio del ripudio della guerra in Italia è sancito nell’articolo 11 della Costituzione.
Come noto la nostra legge fondamentale è la Costituzione della Repubblica Italiana, approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1º gennaio 1948.
La nostra Costituzione nasce da una ispirazione pacifista e ciò è dimostrato proprio dall’art. 11, il quale recita:
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
E’ questo un articolo che pone in essere un tema di grandissima attualità in considerazione di ciò che è accaduto in Ucraina.
Con esso l’Italia dice no a qualsiasi tipo di guerra sia essa guerra di aggressione, di intervento o strumento di politica nazionale.
E’ indispensabile soffermarsi sulla scelta non casuale del verbo: l’Italia non “rinuncia” alla guerra bensì la “ripudia”.
Il termine è uno di quelli che genera indignazione, terrore, ripugnanza e ci richiama alla mente un’azione attiva, non semplicemente un’astensione da qualcosa da evitare.
Innanzitutto tale affermazione racchiude il rifiuto di qualsivoglia propaganda bellicista.
In esso è incluso il rifiuto di politiche e di ideologie che potrebbero giustificare o, magari, nobilitare l’impiego della guerra come forma di aggressione e di offesa.
Oltre a ciò si potrebbe pensare come soluzione alternativa all’ impegno diplomatico e al dialogo in caso di polemiche internazionali.
Il ripudio della guerra dopo la seconda guerra mondiale
Quando fu stilata la Costituzione i padri costituenti vollero decretare una rottura netta con il recente passato.
Invero a quel tempo il nazionalismo e l’imperialismo avevano trascinato il Paese nel vicolo cieco della guerra totale.
Dichiararsi quindi totalmente contrari alla guerra significava anche in quel momento rifiutare ogni possibilità di un ritorno del fascismo.
Peraltro la riorganizzazione di questo fu, altresì, vietata “sotto qualsiasi forma” dalla Costituzione.
Tale articolo rappresentò anche la dichiarazione di condanna morale della distruzione e degli orrori determinati dalla Seconda guerra mondiale.
Purtroppo come noto il conflitto aveva causato milioni di vittime e aveva ferito enormemente lo spirito democratico del Paese.
Questa guerra, terminata appena due anni prima dell’ultimazione della Costituzione, era stata la più devastante e tragica della storia dell’umanità.
Ricordiamo tristemente che lo era stat per la distruzione di intere città e popolazioni, per lo sterminio di razze ritenute inferiori e per i sofisticati armamenti con cui si era combattuto.
In tale contesto la pace per i popoli significava la rinascita a nuova vita.
L’Italia così decise di rompere con il passato fissando categoricamente l’obbligo morale, prima ancora che giuridico, di vietare il ricorso alla guerra.
Un ricorso alla guerra sia come dispositivo di conquista sia come strumento di risoluzione di qualsivoglia controversia.
Affermare il principio pacifista, comunque, non sta a indicare che l’Italia è un paese neutrale e che non può affatto valersi delle forze armate.
Tuttavia esprime il rifiuto della guerra esclusivamente come strumento offensivo e non difensivo.
Il ricorso alla guerra deve essere interpretato come extrema ratio.
Il ripudio della guerra e la necessità di un esercito
Secondo il principio del ripudio della guerra, qualora si subisca un attacco e vengano messe in pericolo l’esistenza e l’indipendenza, il nostro Stato sarà sempre legittimato a reagire anche con le armi intraprendendo azioni belliche per la legittima difesa.
Ciò trova dimostrazione in altre disposizioni costituzionali.
Infatti l’art. 52 Cost. sancisce la difesa della patria come dovere dei cittadini.
Similmente, gli articoli 58 e 87 Cost. stabiliscono anche il procedimento per deliberare lo stato di guerra.
Tale funzione difensiva legalizza, in realtà, la presenza nel Paese di un esercito.
In altre parole nel caso di attacco militare da parte di una Forza straniera è ammessa, implicitamente, la guerra difensiva.
Chi delibera lo stato di guerra?
L’interpretazione sopra trattata è suffragata dal combinato disposto degli artt. 78 e 87.
Nel primo articolo citato si precisa che le Camere hanno il potere di deliberare lo stato di guerra.
Invece l’altro articolo 87 precisa che la dichiarazione spetta al Presidente della Repubblica.
“Il Presidente della repubblica dichiara lo stato di guerra deliberato e prende il comando delle Forze armate, presiedendo il Consiglio Supremo di difesa costituito secondo la legge” (art. 87 Cost.).
Quindi il ricorso alla forza con l’utilizzo di unità militari è in ogni caso autorizzato solo dal Parlamento e non dall’ esecutivo.
Quest’ultimo, esclusivamente in caso di aggressione del nostro territorio e in una situazione di assoluta emergenza, può prendere su di sé tale responsabilità.
Con riguardo ad un’altra norma ancora, cioè l’articolo 52 della Costituzione, c’è da dire che esso stabilisce che i cittadini sono chiamati a difendere la Patria per dovere costituzionale.
In tal modo la difesa della Patria è sancito comeun dovere laicamente “sacro”.
Per inciso ricordiamo che per gli antichi la patria era qualcosa di divino ed inviolabile, fino a rischiare e perdere la vita.
E dunque, se è vero che la patria è «sacra», la sua difesa non può che essere un obbligo altrettanto sacro.
Lo stesso San Tommaso, nella sua opera “Summa teologica”, afferma che la patria ha diritto ad un senso di sacralità, di rispetto.
L’autolimitazione della sovranità
Per riprendere la disamina dell’articolo 11 Cost, possiamo notare come la parte forse più rilevante si riscontra nella clausola relativa alla possibilità di accettare limitazioni della sovranità.
Ciò a condizioni di reciprocità ed uguaglianza con gli altri Stati.
È questo il punto che caratterizza la predominanza dell’interesse per la pace e per la giustizia tra i popoli rispetto alla sovranità stessa.
Il principio del ripudio della guerra e della forza è, così, accompagnato dall’intento di creare vincoli tra i popoli per imporre la forza della legge come dispositivo di pacificazione.
Così si celebra il costituzionalismo democratico e liberale, fondato sul rispetto dei valori internazionali della pace e del rispetto della dignità umana.
La pace quindi ha un valore irrinunciabile e costituisce il bene supremo che giustifica anche la partecipazione del nostro Paese a organizzazioni internazionali.
L’Italia è propensa, qualora fosse necessario, ad autolimitare una parte della propria sovranità, ossia la capacità di esercitare le specifiche funzioni giudiziarie, legislative ed esecutive sul proprio territorio.
Il fine è promuovere la pace ritenendo la solidarietà tra le Nazioni e la giustizia strumenti privilegiati per la risoluzione delle controversie.
Ciò si può attuare tramite accordi con organizzazioni come l’ONU, la FAO, e l’UNICEF che mirano a creare un’integrazione sempre più stretta tra i popoli.
Il ripudio della guerra e i vincoli della Comunità internazionale
Pertanto, come abbiamo argomentato sopra, la partecipazione dello Stato italiano alle azioni militari viene autorizzata come strumento di difesa della libertà e dei diritti degli altri popoli.
E questo avviene proprio in ossequio ai vincoli fissati dalla Comunità internazionale e nel rispetto degli obblighi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite.
Sembra importante citare l’art. 51 dello Statuto dell’ONU che contempla le ipotesi di aggressioni.
E prevede che ogni Stato membro conserva il diritto di autotutela, anche a sostegno di un altro membro finché lo stesso Consiglio non abbia deciso le misure da intraprendere.
Comunque, ogni azione o reazione armata dovrà essere fatta rispettando i requisiti di proporzionalità tra offesa ricevuta e difesa attuata.
Tutto questo rientra nel principio di giustizia universale rispetto al quale il nostro ordinamento sceglie di vincolare le proprie azioni ad obblighi assunti a livello internazionale.
Tali limitazioni riguardano non solo l’attività giurisdizionale ed amministrativa dello Stato ma anche quella normativa
In conclusione, l’articolo 11 della nostra Costituzione, e il suo principio di ripudio della guerra, chiarisce come il concetto di pace non deriva soltanto dal rigettare la guerra ma anche dall’organizzazione interna dello Stato e dall’azione dell’Italia nell’ambito delle comunità internazionali.
Poiché la guerra lede la dignità dei popoli, il concetto di pace oggi deve essere un segnale anche per le azioni future del nostro paese.