Usufrutto

Nell’ordinamento giuridico italiano l’usufrutto è uno dei diritti reali su cose altrui (cd. iura in re aliena) disciplinato dall’articolo 978 del codice civile e seguenti.

 Si tratta di una istituzione già contemplata dai giuristi romani, i quali lo designavano, appunto, come lo “ius utendi et fruendi, salva rerum substantiam“, cioè il diritto di usare il bene, oggetto del diritto, percepirne i frutti , e usufruire di cose altrui senza alterarne la natura e la consistenza»

Ma cerchiamo di approfondire le caratteristiche di questo istituto

Premessa: cosa sono i diritti reali?

Per diritti reali si intendono quei diritti che permettono a chi li possiede di esercitare un potere sulla cosa posseduta.

Il diritto reale più sperimentato ed immediato è indubbiamente il diritto di proprietà.

Tale diritto dà al suo titolare un potere quasi totale sul bene in oggetto.

Tuttavia dobbiamo precisare che il diritto di proprietà non è l’esclusivo diritto reale: infatti esistono alcuni diritti, come appunto il diritto di usufrutto, che attribuiscono un definito potere sulla cosa nonostante non si sia proprietari.

Altri esempi sono il diritto di uso, di abitazione, il diritto di enfiteusi, di servitù, il diritto di superficie.

La definizione di usufrutto

Il dispositivo dell’art. 981 del Codice Civile sopra citato, recita:

L’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica. Egli può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare, fermi i limiti stabiliti in questo capo.”

Invero il codice non fornisce una definizione espresa dell’istituto, essa è ricavata allora dagli elementi che ne costituiscono la struttura.

Possiamo dire già che esso consiste in un diritto reale di godimento che permette ad un soggetto, definito usufruttuario, diverso dal proprietario di servirsi e di godere di un bene che non gli appartiene.

Il vero proprietario prende il nome di nudo proprietario perché, pur essendo il titolare del diritto di proprietà, non è lui a godere in linea diretta del bene.

Si badi che è definito “nudo” poichè competono all’usufruttuario tutte le forme di godimento del bene e le utilità che questo può dare.

Sono fatte salve le deroche pattizie e il rispetto della destinazione economica del bene, oltre al duplice limite della temporaneità del diritto.

Il diritto può avere come oggetto beni mobili o immobili (così come titoli di credito, universalità, ecc.). 

Trattasi in ogni caso di beni inconsumabili e non sostituibili con altri beni uguali o somiglianti poiché dotati di una propria individualità economica e sociale; altrimenti, quando l’oggetto dell’usufrutto riguarda beni consumabili o fungibili si ha il c.d. “quasi usufrutto”, che è soggetto a particolari regole.

La particolarità di questo diritto è che esso ha una durata temporanea, non può andare oltre la vita dell’usufruttuario (art. 979 c.c.).

Si estingue, in ogni caso, con la morte del titolare anche in presenza di un termine concordato dalle parti (usufrutto a termine).

Pertanto,  il nudo proprietario, alla morte dell’usufruttuario,  riacquista la piena proprietà del bene (art. 980 c.c.).

La destinazione economica della cosa oggetto di usufrutto come limite del godimento

Per destinazione economica del bene si deve intendere l’impiego che di tale bene viene fatto, tenendo conto della concreta funzione cui la res era stata prima destinata dal proprietario.

Ad esempio, un garage concesso in usufrutto come autorimessa non potrà essere utilizzato come magazzino merci ma dovrà seguire la sua destinazione a garage.

Ecco che il rispetto della destinazione economica della cosa rappresenta il limite del godimento spettante.

In altri termini l’usufruttuario può ricavarne tutti i guadagni, diretti o indiretti, che la cosa può dare, a patto che tale impiego non comporti una modificazione della destinazione specifica che essa aveva nell’economia del proprietario.

Ciò non significa certamente che al termine dell’usufrutto la cosa debba essere resa con la consistenza o col valore che possedeva allorché l’usufrutto era stato costituito.

 Il proprietario, se la cosa è stata cambiata rispetto a quanto sarebbe accaduto se ne avesse goduto personalmente, non può lamentarsi per l’uso che l’usufruttuario ne ha fatto e per le utilità ricavate.

L’importante è che sia stata mantenuta immutata la destinazione che il proprietario ha dato alla cosa al fine di procurare in un qualche modo utilità.

Tale destinazione è il risultato di un atto di volontà del proprietario.

Essa, nei rapporti con l’usufruttuario, può essere resa palese dalle condizioni oggettive in cui la cosa si trova all’inizio dell’usufrutto o dall’azione seguita precedentemente dal proprietario o perfino da una chiara dichiarazione di volontà nell’atto costitutivo dell’usufrutto.

L’usufruttuario di un immobile ad uso civile abitazione, non può destinare nemmeno parzialmente lo stesso ad usi diversi (ad esempio studio professionale a favore di altra persona).

Difatti senza l’autorizzazione del nudo proprietario non è consentito modificare la destinazione economica del bene su cui egli esercita il suo diritto.

Cosa può fare il proprietario se si cambia la destinazione economica?

Certamente l’esigenza del rispetto della destinazione economica costituisce un limite alla possibilità di poter godere a pieno del bene.

Se si va oltre si viola il diritto di proprietà, concedendo al proprietario il diritto di richiedere la decadenza per abuso (art. 1015 c.c.) oppure la riduzione in pristino, tramite un’azione negatoria secondo l’art. 949 c.c..

Per poter procedere a qualsiasi cambiamento è opportuno, dunque, prima chiedere al nudo proprietario di modificare la destinazione d’uso del bene, con conseguente variazione del contenuto del diritto di usufrutto.

Loredana Blanco
Loredana Blanco
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