Con il termine cyberbullismo o ciberbullismo (ossia «bullismo online») si fa riferimento ad un tipo di attacco ingiurioso, offensivo, continuo, ripetuto e sistematico eseguito nei confronti di qualcuno, attraverso gli strumenti della rete.

Si tratta di un fenomeno molto grave ma purtroppo abbastanza ampio nella società odierna.

E’ nato negli ultimi anni tra i ragazzi ed è messo in atto mediante internet, telefoni cellulari o computer.

Potremmo asserire che concettualmente il cyberbullismo rappresenta una nuova forma di “bullismo indiretto”, attuato mediante l’uso delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione.

Innanzitutto precisiamo che è appunto un attacco fatto nell’ambito del cosiddetto “cyberspazio”.

E cos’è il cyberspazio?

Possiamo definirlo come  la realtà virtuale alla quale ogni persona, dotata di un dispositivo elettronico ed una connessione internet, può accedere.

In poche parole è lo spazio astratto, virtuale, dove ciascuno di noi chatta, inserisce contenuti, pubblica commenti, insomma il nostro mondo social, di Facebook, Instagramm, whatsapp e così via.

Infatti il cyberbullismo è detto pure  “bullismo in rete”, perchè è praticato per lo più su piattaforme digitali come Internet e Social Network come Facebook, ma anche tramite canali telematici come Whatsapp.

Come gli studiosi definiscono il cyberbullismo

 Uno dei più importanti studiosi di bullismo, Peter Smith, ha fornito la seguente  importante definizione di cyberbullismo:

forma di prevaricazione volontaria e ripetuta, attuata attraverso un testo elettronico, agita contro un singolo o un gruppo con l’obiettivo di ferire e mettere a disagio la vittima di tale comportamento che non riesce a difendersi“.

Il cyberbullismo, detto anche bullismo elettronico, abbraccia perciò tutte le forme di prevaricazione e sopraffazioni tra coetanei.

E’ esercitato per mezzo di e-mail, messaggini con i cellulari, chat, blog, siti internet, immagini o video diffusi sulla rete.

L’obiettivo del bullo è sempre lo stesso: molestare la vittima, minacciarla, deriderla.

Chi ha coniato per la prima volta il termine?

Nel  2002 per la prima volta Bill Belsey, un educatore canadese,  foggiò il vocabolo “cyberbullying”.

Si pensi che circa un anno prima compariva la definizione del termine “nativi digitali”, attirando l’attenzione di genitori, educatori e ricercatori, oltre che dei media.

Il suddetto termine “nativi digitali” o “madrelingua del linguaggio digitale”, è stato coniato invece da Marc Prensky, scrittore e consulente statunitense.

Prensky con questa espressione ha voluto indicare le nuove generazioni cresciute negli ultimi 15 anni in un’epoca regnata dalle nuove tecnologie, tra computer, internet, telefoni cellulari, videogames e mp3.

Abituati all’esercizio della funzione multitasking, all’istantaneità degli ipertesti e ad una connettività illimitata, i giovani di oggi assorbono e fanno proprie tutte le novità delle moderne comunità virtuali.

Sono comunità estese ormai a livello globale che fanno comunicare in tempo reale e instaurare relazioni senza alcun confine di spazio.

Tuttavia la velocità dell’evoluzione tecnologica e il cambiamento nelle modalità di comunicazione online, non sempre ha permesso ai “cittadini digitali” di distinguere  consapevolmente i comportamenti ammissibili in rete da quelli potenzialmente dannosi.

Di conseguenza, in modo parallelo all’uso consapevole ed intelligente della rete internet, si è sviluppato e diffuso un uso distorto ed improprio.

Allora spesso non è chiaro il confine tra ciò che è consentito e ciò che può diventare labile e pericoloso.

Ad esempio le modalità con cui i giovani scherzano e si prendono in giro online potrebbe varcare la soglia del rispetto altrui, diventando appunto bullismo elettronico.

Così come il sexting, che potrebbe facilmente varcare i confini della decenza e della privacy, diventando materiale pedopornografico reperibile in rete.

Ecco che dall’uso improprio che si è fatto della rete si è diffuso appunto quel fenomeno che Bill Belsey identificò con la parola “cyberbullismo”.

La mancanza di una definizione condivisa di cyberbullismo

Anche se il fenomeno appare diffuso in tutto il mondo occidentale sin dalla sua comparsa, la letteratura scientifica sull’argomento non ha ancora raggiunto una definizione condivisa.

Peter Smith ed i suoi collaboratori (2006) proposero una definizione di cyberbullismo in relazione diretta con le definizioni convenzionali di bullismo.

Pertanto il cyberbullismo era spiegato come quella forma di prevaricazione intenzionale e reiterata nel tempo, concretizzata mediante uno strumento elettronico.

E’ una prevaricazione fatta contro un singolo oppure contro un gruppo con lo scopo di ferire e mettere a disagio la vittima, che non riesce a tutelarsi e difendersi.

Gli stessi autori, inoltre, suddividono il fenomeno in sette categorie:

  1. sms: l’invio e la ricezione di messaggi testuali ingiuriosi, offensivi e diffamatori tramite il telefono cellulare;
  2. mms: l’invio e la ricezione di materiale multimediale (foto/video) recante danno a terze persone;
  3. calls: l’invio e la ricezione di chiamate diffamatorie, in cui l’aggressore intimidisce la vittima con minacce e insulti;
  4. e-mail: l’invio di mail contenenti insulti, minacce, offese e diffamazioni;
  5. chatrooms: intimidazioni e offese in chat;
  6. instant message: insulti e offese tramite sistemi di comunicazione istantanea (come MSN, Yahoo, Skype etc.);
  7. websites: la rivelazione di informazioni personali o la divulgazione di immagini e video compromettenti (per la vittima) attraverso siti internet.

Altre classificazioni

Altri autori invece criticano la classificazione appena esposta in quanto ritengono che possa sussistere anche una sovrapposizione tra i diversi strumenti utilizzati.

Ad esempio l’uso dei telefonini cellulari con i quali è possibile connettersi a internet dimostra come sia possibile mettere in atto comportamenti che coinvolgono più strumenti.

A ragione di ciò nel 2006 lo studioso Willard ha prospettato una tassonomia alternativa del fenomeno, focalizzata non tanto sugli strumenti usati quanto sul tipo di azione e di comportamento attuato.

 Eccola di seguito:

  • Flaming: messaggi violenti e volgari che provocare contrasti e battaglie verbali nei forum;
  • Harassment (Molestie): l’invio ripetuto di messaggi offensivi;
  • Denigration (Denigrazione): insulto o diffamazione contro qualcuno online mediante dicerie, pettegolezzi e menzogne, di solito di tipo offensivo e crudele, volte a danneggiare la reputazione di una persona;
  • Impersonation (furto d’identità): l’aggressore ottiene informazioni personali e dati di accesso (nick, password, ecc.) di un account della vittima, con l’obiettivo di prenderne possesso e danneggiarne la reputazione;
  • Outing and Trickering: diffondere online i segreti di qualcuno, informazioni scomode o immagini personali; spingere una persona, attraverso l’inganno, a rivelare informazioni imbarazzanti e riservate per poi pubblicarle in rete;
  • Exclusion (Esclusione): escludere intenzionalmente qualcuno da un gruppo online (chat, liste di amici, forum tematici…);
  • Cyberstalking: invio ripetuto di messaggi intimidatori contenenti minacce e offese.

Tuttavia, bisogna anche considerare i limiti di questo approccio classificatorio.

 Difatti nella realtà non esistono limiti netti tra una categoria ed un’altra per cui seguire tale classificazione può costituire spesso una forzatura.

Pertanto ci rifacciamo a una definizione di cyberbullismo fornita  all’interno del sito www.cyberbullying.ca:

“il cyberbullismo riguarda l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione da parte di un singolo o di un gruppo, per attuare comportamenti aggressivi, intenzionali e ripetuti ai danni di uno o più”.

La legge italiana sul cyberbullismo

In Italia qualche anno fa è stata approvata la Legge 29 maggio 2017 n. 71, legge per la prevenzione ed il contrasto del cyberbullismo minorile.

In essa è contenuta la seguente definizione giuridica di cyberbullismo:

per cyberbullismo si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo.

Si rinvia all’articolo relativo alla L. 71/2017 per la spiegazione delle norme contenute nella legge medesima.

In conclusione, tenuto conto delle svariate forme e classificazioni, ancora oggi non è possibile ricondurre il termine ad un’unica e sola accezione generalizzata. D’altra parte bisogna considerare anche l’evolversi continuo delle relazioni nell’ambito del cyberspazio, che influisce notevolmente sull’identificazione dei fenomeni da studiare.

 

Loredana Blanco
Loredana Blanco
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